Il lettore non si faccia intimidire dalla struttura del primo capitolo, spiegato nell’ultimo.
A differenza di quei testi in cui gli eventi storici vengono romanzati, qui si è scelto di tenere ben distinta nel romanzo la Storia (là dove essa è accertata e documentata) dalla fantasia atta a divertire, a creare suggestione, ad assecondare le dicerie collettive sino ad avvallarle: è provato e quindi è fatto storico che Simonetta Cattaneo Vespucci, femme fatale dell’epoca, modella di Botticelli, morta a ventitré anni il 26.4.1476, sia vissuta realmente, ma essendo ritenuta bella “senza pari”, subito le dicerie la vollero amante di questo e di quello, del che non v’è alcun supporto se non labile ed indiziario.
I più rilevanti eventi storici narrati sono la famosa congiura dei Pazzi del 26.4.1478, in cui Giuliano de’ Medici rimane ucciso e ferito il fratello Lorenzo, e quella meno famosa che portò all’uccisione di Oddantonio, Duca di Urbino, il 22.7.1444. Su tale omicidio si è detto tanto (si vedano ad esempio i “Commentarii” di papa Pio II, Enea Silvio Piccolomini) ma non abbiamo certezze.
Federico, fratellastro di Oddantonio, sarebbe subentrato il giorno dopo, il che lascia pensare alla premeditazione. Ma la data non è certa. Poi, egli fu chiamato subito dal vescovo d’Althan ed era a Pesaro, cioè ad appena una trentina di chilometri. Vero è che i 21 capitoli di accordo tra Federico e gli urbinati furono subito pronti, ma tra i congiurati -oltre a Serafino dei Serafini (il più noto, che ha dato nome alla congiura, medico urbinate “offeso nell’onore” per via della violenza sulla moglie) e a Piero da Fabriano, Cristofano della Massa, Bartolomeo di Mastro Andrea Antonio di Paolo da Petralta e Piero Antonio de Mess- vi era Pierantonio Paltroni, il cancelliere di Oddantonio, che ben poteva avere maturato e predisposto già da tempo il documento, che poneva rimedio alla mala gestio del secondo duca di Urbino e amnistiava i colpevoli. Oppure erano appena abbozzati e poi stilati in forma definitiva successivamente.
L’ambientazione del romanzo è senza riferimenti a cose, persone o fatti contemporanei veramente accaduti: coloro che trovassero somiglianze, sappiano che si tratta di pura coincidenza. I luoghi sono reali, escluso Menziago, una sorta di mia Macondo personale. Ogni riferimento storico, accenno ad eventi o allusione ad altri scritti trova spiegazione nelle note. Per la congiura fiorentina mi sono attenuto abbastanza fedelmente al vero nella descrizione di Machiavelli, pur con gli adattamenti necessari al racconto di fantasia; i dialoghi sono inventati e così tutto il versante che riguarda Aura e, ovviamente, tutta la parte che si svolge attualmente.
Per ragioni narrative, poi, ho adattato e a volte anticipato gli avvenimenti, come nell’episodio della scritta scherzosa “Dov’è Frate Martino? È scappato. E dov’è andato? È fuor dalla Porta al Prato” inserita nel quadro su “Sant’Agostino nello studio” nella chiesa di Ognissanti, che è reale, ma il murale -commissionato al Botticelli dai Vespucci- è posteriore alla congiura del 1478, in quanto il dipinto viene datato 1480; o come l’incontro con l’architetto Leon Battista Alberti, in realtà deceduto sei anni prima, nel 1472, od ancora -sempre ad esempio- “Il principe” di Machiavelli è un trattato di dottrina politica scritto nel 1513 e quindi non può essere stato citato da Federico da Montefeltro nel 1492 come invece avviene nell’incipit.
La malaria mietè molte vittime all’epoca. Il Duca Federico, che a differenza di quanto raccontato in questo romanzo ne morì senza proferire parola soverchiato da varie preoccupazioni, dai destini di Urbino e di suo figlio Guidobaldo di 10 anni, all’esito della c.d. “guerra del sale”. Roberto Malatesta, capitano dell’esercito pontificio e acerrimo rivale del Montefeltro, era a sua volta morto di malaria a poche ore di distanza da Federico, senza che questi lo sapesse. Sempre di malaria perì il Colleoni, a Molinella, in provincia di Bologna, dove contro Federico si svolse la battaglia descritta nel racconto.
La Storia è fatta anche di continue ripetizioni e di eventi provocati dai medesimi ed eterni impulsi naturali, tra i quali primeggiano certamente il classico eros e thanatos, ma anche gelosia e follia, e soprattutto invidia, di cui la diffamazione e la calunnia sono alcune delle possibili conseguenze.
Non a caso sul caminetto a casa di Laura campeggia una riproduzione de “La Calunnia” di Botticelli, in cui tra l’altro la Verità personificata è praticamente identica -come fattezze e come postura- alla Venere del medesimo pittore.
Il punto comune tra le varie storie che corrono parallele in questo romanzo storico è proprio questo: l’Uomo non cambia, è sempre uguale a se stesso da millenni, così come le dinamiche che ne incrociano i destini, i corsi e ricorsi storici di Vico.
E così ogni Padre elargisce inascoltati consigli; ogni generazione ha le sue filastrocche (a proposito, William Shakespeare ne sentiva una da bambino che diceva: “Pillycock Pillycock sedeva sul colle. O se n’è andato o è ancora più folle”); le persone dabbene possono rivelare lati oscuri; lo scetticismo dei sentimenti; l’amore come mera chimica; il complesso di Edipo; le colpe degli avi che ricadono sui figli; il rancore e il tradimento che colpisce tutti, siano gli amici e alleati (si pensi ad esempio a Giulio Cesare, a Pompeo, a Cesare Borgia) siano i parenti anche stretti (Laura fatica ad usare la parola “madre”).
Poi, l’inganno.
Non solo Shakespeare tratta l’argomento in tutte le sue opere, ma lui stesso può darsi non sia il vero autore di esse. Forse è questo il più grande inganno della Storia.
Il trucco è ovunque e sempre, anche nel quotidiano: Green vince il concorso universitario solo per alcune coincidenze, altrimenti il predestinato avrebbe sicuramente prevalso; il suo collega più anziano cerca di distrarlo mentre sta giocando a golf; zia Meri per potersi tenere tutti i gioielli della cognata defunta dichiara che le sue ultime volontà erano di essere sepolta con essi.
Infine, il conflitto tra fratelli: un classico da Caino e Abele ad oggi.
Emblematica la copertina, in cui Federico da Montefeltro appare di fronte e non di profilo come di consueto, a mostrare la parte di volto deturpata anche simbolicamente; non a caso, il soprannome datogli dai contemporanei era Caino, nonostante storicamente non sia chiaro se nell’uccisione del fratellastro Oddantonio ci sia o meno lo zampino di colui che diventerà il terzo Duca d’Urbino.